Rassegna : Produzioni low budget , quando bastano le idee.
Giovedì 2 aprile h. 21.30
Proiezione : "Via Selmi 72 - Cinemastation "
di Anthony
Ettorre,Giuseppe Cacace,Mauro Diciocia
Italia - 2008 - 53'
Alla proiezione saranno presenti i registi
del documentario
Cinemastation non era una videoteca come le altre.
Unica alternativa alla
vita di strada, era diventata con gli anni, il luogo dove i ragazzi di Ponte
Mammolo, quartiere della periferia nord-est di Roma, passavano la maggior parte
del loro tempo. Era un luogo che meritava di essere vissuto, un centro di
aggregazione spontaneo in cui tutte le differenze sociali, politiche e
culturali, si annullavano.
Angelo, il proprietario burbero ma buono, era
riuscito a stimolare l'interesse per il cinema e per molto altro… Nel 2006
Cinemastation ha chiuso. A distanza di 2 anni Angelo è tornato in Via Selmi...
1998, Tesanj è una
piccola città della Bosnia devastata dall'intolleranza etnica, dagli atti
criminali e dalla corruzione. All'improvviso, la notizia di un'imminente visita
del presidente americano Bill Clinton lancia la piccola comunità nel tentativo
maldestro di simulare una democrazia fittizia in cui regni la pace e l'armonia
tra gli abitanti del luogo.
22-03-09: La polveriera (G. Paskaljevic, 1998, 102’,
Francia/Grecia/Turchia/Macedonia)
"Il fumo uccide", dice un tassista belgradese a un concittadino appena tornato
dall'estero, e continua: "Se mi trovassi a New York non fumerei, ma tanto qui
tutto uccide" Inizia così La polveriera, una delle poche pellicole che si siano
occupate della situazione della Serbia alla fine degli anni 90. Brevi storie,
più o meno violente e concatenate fra loro, tutte di scena a Belgrado, in una
sola metaforica notte che non accenna a terminare. Secchi, taglienti, esplosivi
sono gli incroci furenti de La polveriera, che celebra con sarcasmo il vuoto
pneumatico di una Belgrado satura di profughi, prosciugata dal regime di
Milosevic, dall'embargo, dalle tensioni etniche e politiche, dalla Bosnia, dal
Kosovo e dagli effetti della guerra e dei suoi profittatori. Paskaljevic mette
in scena le eccentriche traiettorie di personaggi sfuggiti ad ogni controllo:
volti ghignanti, ringhiosi o tristi che brindano alla violenza crudele
dell'instabilità a colpi di humour nero. Difficile negare a Paskaljevic (e a
Dejean Bukovski) il dono della profezia. L’esplosione finale (quando un
fiammifero cade sulla benzina versata dai ladri) che conclude il film sul fermo
immagine dell’ultimo colpevole-divenuto-vittima anticipa in modo raggelante gli
orrori del Kossovo e le bombe che di lì a breve sarebbero piovute su
Belgrado.
Rassegna : The Meaning of Style ; sottoculture e controculture degli anni 60
– 80.
Giovedì 19 marzo h. 21.30
American hardcore
di Paul
Rachman
Sono gli anni 80 della prima scena punk hardcore
americana quelli raccontati dal documentario American Hardcore. Un film di Paul
Rachman, tratto dal libro American Punk Hardcore di Steven Blush , sulle
controculture degli anni Ottanta. Veloce, duro, scarno, radicale, da suonare ad
alto volume. Il punk americano come è veramente stato. L’hardcore punk non fu
solo musica, ma una forma di protesta contro il regime conservatore del
presidente americano Ronald Reagan, che qui viene raccontato dalla viva voce dei
componenti delle punk band più importanti e da noti artisti quali Moby e Matthew
Barney. Una scena che fu un vero e proprio pugno in faccia alle multinazionali
della musica e al mainstream. Grazie al DO IT YOURSELF, si diffuse
selvaggiamente in pochi mesi in tutti gli Stati Uniti costituendo il nuovo
underground americano.
CON: BLACK FLAG, MINOR THREAT, DOA, BAD BRAINS, CIRCLE
JERKS, MDC, SSD, CORROSION OF CONFORMITY,SUICIDAL TENDENCIES, FLIPPER, CRO-MAGS,
ADOLESCENTS, 7 SECONDS, MIDDLE CLASS, AGNOSTIC FRONT, MURPHY'S LAW, YOUTH
BRIGADE, GANG GREEN e un contributo di Mungo (Declino) sulla scena hardcore
italiana. Lingua originale . Sub Ita
Un produttore cinematografico, ossessionato dalle cartoline minatorie di uno
sceneggiatore a cui ha bocciato un copione, lo incontra e per sbaglio lo uccide.
La polizia sospetta di lui. Fin troppo chiara la metafora delle grandi major che
soffocano il talento dei giovani sceneggiatori. Titolo italiano deviante per uno
dei più intelligenti, perfidi e divertenti film hollywoodiani degli anni '90. Il
film è una satira iconoclasta di Hollywood: Altman (the player) vi condensa il
suo impietoso giudizio sulla “fabbrica dei sogni”, diretta da persone che,
incapaci di sognare, hanno soltanto incubi di carriera. È anche un film sui
rapaci e rampanti anni '80 segnati dall’avidità di denaro e di successo, dalla
stupidità arrogante e dall'incompetenza al potere, dall'edonismo più becero. Vi
compaiono velocemente una settantina di attori più o meno famosi, di oggi e di
ieri, nella parte di sé stessi.
"Vecchia America" (titolo originale "Nickelodeon", dal nome delle sale
cinematografiche americane agli inizi del ‘900, con biglietto di ingresso di 5
cents –un nichelino-), è una dichiarazione d'amore per il cinema d'intensità
pari a quella di "Effetto notte" di Truffaut, ma dal contenuto forse ancora più
estremo.
America, anni Dieci: un avvocato finisce casualmente a fare il
regista per uno dei tanti indipendenti che provarono a sfidare il monopolio
all'inizio del secolo; con una troupe sgangherata e attraverso una spassosa
serie di vicissitudini, il protagonista scopre una vera passione, per poi
commuoversi ed inchinarsi, nel finale, di fronte al capolavoro di D.W. Griffith
"The Clansman", poi ribattezzato "Nascita di una nazione".
Ma il messaggio
importante arriva alla fine dal burbero produttore: "Se sei uno veramente bravo,
allora i tuoi film sapranno sempre parlare alla gente": è l’avvento del cinema
narrativo. Mascherini d'epoca, citazioni, omaggi visivi, i Lumière, Chaplin,
Keaton, e naturalmente Griffith, padre del montaggio analitico e fautore della
svolta narrativa nel cinema.
Rassegna : The Meaning of Style ; sottoculture e controculture degli anni 60
– 80.
Giovedì 5 marzo h.
21.30
Skinhead attitude
di Daniel Schweizer
Documentario che ripercorre i 40 anni del movimento redskin, sotto la guida del
regista Daniel Schweizer e della skingirl Karole. Dalla Jamaica e da musicisti
come Laurel Aitken, Bad Manners, Judge Dread all the way to Skarface, Stage
Bottles e Scrappy,il film fornisce un'esaustiva panoramica sul movimento,
compresa l'influenza che ha avuto su gruppi punk come gli Sham 69, e le riprese
del concerto della band redskin per eccellenza, i Los Fastidios.
Una
spiegazione completa della nascita del movimento skinhead non fascista, nato
come risposta ai gruppi di destra che negli anni '80 stavano distruggendo la
scena di New York tramite aggressioni fisiche e boicottaggi dei concerti: fu
così che nacque la S.H.A.R.P. (SkinHeads Against Racial Prejudice) su iniziativa
di alcuni skins, che decisero di unirsi in nome dell'amore per la propria
cultura e dell'odio per il razzismo. L'obiettivo di questo film è cambiare la
percezione collettiva, alimentata dalla stampa sensazionalistica, degli
skinhead, tramite anche interviste a Roddy Moreno, fondatore della S.H.A.R.P., e
Jimmy Pursey.
A partire dall’evoluzione più recente del movimento, il film si
interroga sulla trasformazione e sulla radicalizzazione della subcultura
skinhead. Da Londra a Berlino, passando per Helsingborg, Dallas, Las Vegas e
Montreal, gli skinheads si sono strutturati come un movimento giovanile dai
tratti ribelli, violenti, spesso estremisti, fino a divenire uno dei movimenti
di strada più temuto. I media parlano spesso di loro, ma chi sono in realtà?
Riflessione cinematografica sul senso dell’appartenenza a un gruppo.
Lingua
originale . Sub Ita.
In un appartamento di Parigi un gruppo di giovani borghesi studia
“scolasticamente” il pensiero marxista-leninista nella versione maoista e
Véronique, guida del gruppo, propone l'assassinio di un ministro sovietico in
visita. Alle idee vaghe dei personaggi (una nuova coscienza di classe confusa,
che ricicla vecchi confini) si oppongono immagini di chiara, sublime astrazione,
dove dominano la purezza cromatica dei colori primari (rosso, blu, giallo) e la
luce diffusa: il film (si) riflette (su) se stesso, trovando nella non-forma del
documentario libero (Méliès contro Lumière, oggi come allora) la propria
dimensione ideale. Le sue rapide scene fondono letteratura (Puskin), teatro
(Brecht, Living Theater), cinema (Fellini, Nicholas Ray, il montaggio di
Ejzenštejn, mentre il finale strizza l’occhio a Rossellini),fumetti, graffiti,
backstage. Un “film in fieri” con cui Godard anticipa, riassume e supera il
’68.
Per la rassegna “Il collasso della gestione della proprietà intellettuale e della mercificazione delle informazioni nell'era digitale” di Documentaria, il cineforum dalle tematiche storico-politiche, questa settimana:
Giovedì 19 febbraio h. 21_30
Proiezione : “Hackers , fuorilegge o
angeli?”
Produzione "Discovery Channel" - 46'
Documentario di Discovery Channel sugli hackers e sul loro ruolo nella società.
“Hacker” (termine coniato negli Stati Uniti del quale è difficile rendere una corretta traduzione in italiano) è una persona che si impegna nell'affrontare sfide intellettuali per aggirare o superare creativamente le limitazioni che gli vengono imposte, non limitatamente ai suoi ambiti d'interesse (che di solito comprendono l'informatica o l'ingegneria elettronica), ma in tutti gli aspetti della sua vita.
Oklahoma, anni '60 il sedicenne Rusty vive col padre, avvocato fallito e alcolizzato e sogna di diventare come il fratello maggiore, leader del quartiere, eroe solitario a cavallo della sua moto. Seguito ideale di “I ragazzi della 56ª strada” e anch'esso tratto dal romanzo di Susan Eloise Hinton. Il cuore dell'azione è nel rapporto tra i due fratelli e, a far da contrappunto, nel loro rapporto col padre e nell'assenza della madre, fuggita dieci anni prima.
Coppola ha citato Ejzenštejn e il cinema espressionista tedesco, ma il suo film rimanda soprattutto a Welles, per l'uso del grandangolo, del panfocus, delle carrellate avvolgenti, per quel barocchismo sfrenato e visionario che colloca Welles nella linea espressionistica della storia del cinema. Splendida fotografia in bianco e nero di Stephen H. Burum. Il titolo originale si riferisce ai “pesci tuono”: quei pesci siamesi che attaccano i loro simili e che, come dice il fratello di Rusty, “non combatterebbero se fossero nel fiume, se avessero più spazio”.