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03/05/09: Fucking Amal (L.Moodvsson, 1998)

F u cking Amal racconta la storia di due ragazze che abitano la provincia svedese e scoprono di amarsi. Moodysson riesce magistralmente a filmare tutta la purezza e l'innocenza di un rapporto di coppia "non convenzionale" tra due personaggi sofferti e sofferenti, in lotta contro i confini di una sessualità "imposta", che trova la propria roccaforte nella "merdosissima Amal", fredda prigione nell'inferno della morale borghese dominante. Il film, da un lato, abbraccia l'emozione dell'urlo interiore perso fra crudeltà incosciente, rabbia implosa, voglia di emergere e amore estasiante; dall'altro allontana i dettagli nei genitori persi nell'incomunicabilità e nei giovani che perpetuano il conformismo e l'emarginazione dei diversi. La tensione accumulata nello svolgersi degli avvenimenti cresce a dismisura per poi esplodere in una sequenza bellissima che trascina con sé il dolce sapore della rivolta.




 

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19/04/09: Indovina chi viene a cena (S.Kramer, 1967)

Una coppia di anziani e agiati americani progressisti vede improvvisamente vacillare le proprie certezze di fronte all'effervescente figliola, che si presenta a casa con un nuovo fidanzato, un brillante medico trentacinquenne. Nulla da eccepire sulla persona, ma l'uomo è un afroamericano; così tra il razzismo latente nell’animo, anche dei più sensibili, e lo sforzo di riconoscere le ragioni del cuore, prende piede un classico del cinema democratico antirazzista degli anni sessanta. Tradizionale commedia americana, pungente nel dialogo e sorvegliata nella scansione dei colpi di scena. Il film subì aspre critiche in Europa, dove lo si accusò di rimuovere il problema del razzismo attraverso la figura di un nero affermato professionista, bello e simpatico ed un edulcorato e consolatorio ottimismo.


 

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Rassegna:Produzioni low budget; quando bastano le idee
Proiezione:
“ L'ora d'amore “
Regia : Andrea Appetito, Christian Carmosino   - Italia (2008) - 52'

Sarà presente alla proiezione il regista Christian Carmosino


Info: documentaria (chiocciola) fusolab.net

“...tre vividi racconti di detenuti comuni dalla vita così simile a quella di chi vive fuori, altrettanto imprigionati dalle convenzioni e dai problemi. Emerge tanto isolamento e bisogno d'affetto in quei ritratti tanto vicini alla fiction, figure vivaci e affettuose nell'accettazione di un tempo che si è fermato ed è scandito dalla burocrazia del carcere”
Silvana Silvestri, Il Manifesto

 

Papà... è in viaggio d'affari  (Kusturica, 1985, 128’, JUGOSLAVIA)

Sarajevo 1949, dopo la scomunica del Cominform e il distacco da Mosca della repubblica titina: lo stalinismo degli antistalinisti dilaga, e ne fa le spese anche Mesa (M. Manojlovíc), brav'uomo e indefesso puttaniere, rinchiuso senza processo in un campo di lavoro da dove esce nel 1952. In una certa misura la storia è raccontata attraverso gli occhi innocenti di Malik (M. de Bertolli), piccolo sonnambulo e figlio di Mesa. È lui il nucleo poetico di una commedia agrodolce, tenera e crudele, scritta da Abdulah Sidran, bosniaco musulmano come il giovane regista (1954) cui aveva già fornito il libretto di Ti ricordi di Dolly Bell?? (1981). Tira una fresca brezza di neorealismo italiano in questo film che propone una ricca galleria di personaggi simpatici o odiosi e, insieme con la sua grazia umoristica, alcuni momenti di forte suggestione emotiva. Palma d'oro a Cannes


 

20090402_documentaria_thumb.jpgRassegna : Produzioni low budget , quando bastano le idee.

Giovedì 2 aprile h. 21.30
Proiezione : "Via Selmi 72 - Cinemastation "
di Anthony Ettorre,Giuseppe Cacace,Mauro Diciocia
Italia - 2008 - 53'

Alla proiezione saranno presenti i registi del documentario 

Cinemastation non era una videoteca come le altre.
Unica alternativa alla vita di strada, era diventata con gli anni, il luogo dove i ragazzi di Ponte Mammolo, quartiere della periferia nord-est di Roma, passavano la maggior parte del loro tempo. Era un luogo che meritava di essere vissuto, un centro di aggregazione spontaneo in cui tutte le differenze sociali, politiche e culturali, si annullavano.
Angelo, il proprietario burbero ma buono, era riuscito a stimolare l'interesse per il cinema e per molto altro… Nel 2006 Cinemastation ha chiuso. A distanza di 2 anni Angelo è tornato in Via Selmi...

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Proiezione del film “BENVENUTO MR. PRESIDENT”
di Pjer Žalica (2003, 105’, Bosnia-Erzegovina/Turchia)

1998, Tesanj è una piccola città della Bosnia devastata dall'intolleranza etnica, dagli atti criminali e dalla corruzione. All'improvviso, la notizia di un'imminente visita del presidente americano Bill Clinton lancia la piccola comunità nel tentativo maldestro di simulare una democrazia fittizia in cui regni la pace e l'armonia tra gli abitanti del luogo.

 

 

 

20090322_cabaret_thumb.jpg22-03-09: La polveriera (G. Paskaljevic, 1998, 102’, Francia/Grecia/Turchia/Macedonia)

"Il fumo uccide", dice un tassista belgradese a un concittadino appena tornato dall'estero, e continua: "Se mi trovassi a New York non fumerei, ma tanto qui tutto uccide" Inizia così La polveriera, una delle poche pellicole che si siano occupate della situazione della Serbia alla fine degli anni 90. Brevi storie, più o meno violente e concatenate fra loro, tutte di scena a Belgrado, in una sola metaforica notte che non accenna a terminare. Secchi, taglienti, esplosivi sono gli incroci furenti de La polveriera, che celebra con sarcasmo il vuoto pneumatico di una Belgrado satura di profughi, prosciugata dal regime di Milosevic, dall'embargo, dalle tensioni etniche e politiche, dalla Bosnia, dal Kosovo e dagli effetti della guerra e dei suoi profittatori. Paskaljevic mette in scena le eccentriche traiettorie di personaggi sfuggiti ad ogni controllo: volti ghignanti, ringhiosi o tristi che brindano alla violenza crudele dell'instabilità a colpi di humour nero. Difficile negare a Paskaljevic (e a Dejean Bukovski) il dono della profezia. L’esplosione finale (quando un fiammifero cade sulla benzina versata dai ladri) che conclude il film sul fermo immagine dell’ultimo colpevole-divenuto-vittima anticipa in modo raggelante gli orrori del Kossovo e le bombe che di lì a breve sarebbero piovute su Belgrado.



 

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Rassegna : The Meaning of Style ; sottoculture e controculture degli anni 60 – 80.


Giovedì 19 marzo h. 21.30
American hardcore   
di Paul Rachman




Sono gli anni 80 della prima scena punk hardcore americana quelli raccontati dal documentario American Hardcore. Un film di Paul Rachman, tratto dal libro American Punk Hardcore di Steven Blush , sulle controculture degli anni Ottanta. Veloce, duro, scarno, radicale, da suonare ad alto volume. Il punk americano come è veramente stato. L’hardcore punk non fu solo musica, ma una forma di protesta contro il regime conservatore del presidente americano Ronald Reagan, che qui viene raccontato dalla viva voce dei componenti delle punk band più importanti e da noti artisti quali Moby e Matthew Barney. Una scena che fu un vero e proprio pugno in faccia alle multinazionali della musica e al mainstream. Grazie al DO IT YOURSELF, si diffuse selvaggiamente in pochi mesi in tutti gli Stati Uniti costituendo il nuovo underground americano.
CON: BLACK FLAG, MINOR THREAT, DOA, BAD BRAINS, CIRCLE JERKS, MDC, SSD, CORROSION OF CONFORMITY,SUICIDAL TENDENCIES, FLIPPER, CRO-MAGS, ADOLESCENTS, 7 SECONDS, MIDDLE CLASS, AGNOSTIC FRONT, MURPHY'S LAW, YOUTH BRIGADE, GANG GREEN e un contributo di Mungo (Declino) sulla scena hardcore italiana. Lingua originale . Sub Ita

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I protagonisti (R.Altman, 1992, 124’, USA)

Un produttore cinematografico, ossessionato dalle cartoline minatorie di uno sceneggiatore a cui ha bocciato un copione, lo incontra e per sbaglio lo uccide. La polizia sospetta di lui. Fin troppo chiara la metafora delle grandi major che soffocano il talento dei giovani sceneggiatori. Titolo italiano deviante per uno dei più intelligenti, perfidi e divertenti film hollywoodiani degli anni '90. Il film è una satira iconoclasta di Hollywood: Altman (the player) vi condensa il suo impietoso giudizio sulla “fabbrica dei sogni”, diretta da persone che, incapaci di sognare, hanno soltanto incubi di carriera. È anche un film sui rapaci e rampanti anni '80 segnati dall’avidità di denaro e di successo, dalla stupidità arrogante e dall'incompetenza al potere, dall'edonismo più becero. Vi compaiono velocemente una settantina di attori più o meno famosi, di oggi e di ieri, nella parte di sé stessi.


 

20090308_cinestesie_thumb.jpg"Vecchia America" (titolo originale "Nickelodeon", dal nome delle sale cinematografiche americane agli inizi del ‘900, con biglietto di ingresso di 5 cents –un nichelino-), è una dichiarazione d'amore per il cinema d'intensità pari a quella di "Effetto notte" di Truffaut, ma dal contenuto forse ancora più estremo.
America, anni Dieci: un avvocato finisce casualmente a fare il regista per uno dei tanti indipendenti che provarono a sfidare il monopolio all'inizio del secolo; con una troupe sgangherata e attraverso una spassosa serie di vicissitudini, il protagonista scopre una vera passione, per poi commuoversi ed inchinarsi, nel finale, di fronte al capolavoro di D.W. Griffith "The Clansman", poi ribattezzato "Nascita di una nazione".
Ma il messaggio importante arriva alla fine dal burbero produttore: "Se sei uno veramente bravo, allora i tuoi film sapranno sempre parlare alla gente": è l’avvento del cinema narrativo. Mascherini d'epoca, citazioni, omaggi visivi, i Lumière, Chaplin, Keaton, e naturalmente Griffith, padre del montaggio analitico e fautore della svolta narrativa nel cinema.