1) insulti e percosse inflitti durante gli assembramenti di appartenenti alla varie forze di polizia presenti nella caserma, che si formavano all’arrivo dei gruppi di arrestati, sia pure non con sistematica frequenza, come è emerso in dibattimento, laddove diverse persone offese hanno riferito di non essere state oggetto di tale trattamento;
2) posizione vessatoria ( consistente nell’imposizione dello stazionamento in piedi, a gambe divaricate e braccia alzate diritte sopra la testa) nel cortile, contro il muro della palazzina dove erano situate le celle o contro la rete di recinzione del campo da tennis a essa prospiciente ovvero nei pressi della attigua palazzina dove si effettuavano le operazioni di fotosegnalamento;
3) passaggio nel corridoio tra due ali di agenti di diverse forze che percuotevano con schiaffi e calci, tentavano di far cadere a terra gli arrestati sgambettandoli, ingiuriavano e, spesso, sputavano;
4) posizione vessatoria di stazionamento in cella, che poteva essere o identica a quella che veniva fatta assumere in cortile ovvero in ginocchio con il viso rivolto alla parete e veniva fatta mantenere per ore e ore ( addirittura, in certi casi, per 10, 18, 20 ore e oltre ), senza possibilità di riposo o di sedere, se non per pochi minuti
5) posizione vessatoria di transito, durante i passaggi in corridoio e nel percorso verso l’edificio del fotosegnalamento, consistente nell’obbligare gli arrestati a tenere la testa abbassata sin quasi all’altezza delle ginocchia e/o nel torcere dolorosamente loro uno o entrambe le braccia dietro la schiena;
6) altre posizioni vessatorie, quali, per es., quella c.d. della “ballerina”, consistente nel restare in piedi, in equilibrio sulle punte dei piedi o su una gamba sola (si vedano, tra le tante , le dichiarazioni di Borgo, Otero Balado, Rossomando Massimiliano) o quella rappresentata dal restare per ore con le mani strette dai “laccetti” di plastica (cfr. per es., deposizioni di Mazzoli, Bonnecase);
7) obbligo di rimanere nelle suddette posizioni imposto anche alle persone ferite o che, comunque, si trovavano in stato di menomazione fisica (per tutti, emblematici i casi della Kutschkau, gravemente sofferente per la frattura della mandibola e di vari denti provocatale nel corso dell’irruzione alla scuola Diaz, di De Munno, giunto a Bolzaneto con un piede fratturato, di Tabbach, costretto a restare in piedi per diverse ore contro il muro nonostante fosse portatore di protesi a una gamba);
8) percosse in tutte le parti del corpo, compresi i genitali, ( con conseguenti lesioni in vari casi ) inferte con le mani coperte da pesanti guanti di pelle nera e con i manganelli, in tutti i locali della palazzina adibita a celle, dall’atrio, al corridoio, alle celle, ai bagni, sia per costringere gli arrestati a mantenere la posizione vessatoria loro imposta ( in cella, in corridoio e nell’atrio ) sia senza apparente motivo ovvero quale reazione a richieste di poter conferire con un magistrato o un avvocato ( si veda il caso di Devoto), di essere accompagnati in bagno con sollecitudine o, ancora, di conoscere il motivo del fermo o dell’arresto;
9)
spruzzi di sostanze urticanti o irritanti nelle celle, che hanno anche
comportato, nel caso di Leone Katia, verificatosi nella giornata del
sabato 21 luglio, un malore accompagnato da forti conati di vomito (
episodio riferito non soltanto dalla diretta protagonista, ma da
numerose parti lese compagne di cella, quali
10) insulti di ogni tipo, da quelli a sfondo sessuale, diretti in particolare alle donne ( puttane, troie), a quelli razzisti ( cfr. dichiarazioni di Anerdi, Francisco, dileggiato per il colore della pelle) a quelli di contenuto politico ( comunisti merde, zecche comuniste, rossi bastardi, siete peggio della merda, bastardi comunisti), minacce, che variavano da quelle di percosse e, addirittura, di morte, a quelle di stupro ( cfr. deposizione Subri), costrizioni a pronunciare frasi lesive della proprie dignità personale, quali “sono una merda” ( Rossomando Angelo) e frasi o inni al fascismo, al nazismo, a Mussolini e Hitler, a sfilare lungo il corridoio facendo il saluto “romano” e il passo c.d. “dell’oca” ( cfr. dichiarazioni, tra le molte, di Subri, Lupi, Aveni, Carcheri Alessandro. Nebot, Percivati), a ascoltare il motivo di “Faccetta nera”, suonato forse con un telefono cellulare, e frasi antisemite e ineggianti ai regimi fascista e nazista e alla dittatura del generale Pinochet: queste ultime espressioni di carattere politico, già di per sé intollerabili sulla bocca di appartenenti a Forze di polizia di uno Stato democratico, che pone il ripudio del nazifascismo tra i valori della propria Costituzione, sono risultate, nella situazione specifica, tanto più ripugnanti e vessatorie in quanto dirette contro persone tutte appartenenti, sia pure con sfumature e posizioni differenti tra loro, a un’area politico-sociale che si ricollega ai principi del pacifismo, dell’antifascismo e dell’antirazzismo;
11) taglio forzato dei capelli ( cfr., sul punto, dichiarazioni della Ender e della Hager Morgan) e distruzione di oggetti personali ( per es. cellulari, monili etc);
12) sottoposizione degli arrestati a lunghe attese prima di essere accompagnati ai bagni, tanto da costringere molti di loro a urinarsi addosso ( per tutte, dichiarazioni della parte offesa Tangari);
13) marchiatura su una guancia, con un pennarello colorato, degli arrestati alla scuola “Diaz”, come se non di persone si trattasse, bensì di capi di bestiame o di imballaggi di merci.
L’elenco
delle condotte criminose poste in essere in danno delle persone
arrestate o fermate transitate nella caserma di Bolzaneto nel giorni
compresi tra il 20 e il 22 luglio 2001 consente di concludere, senza
alcun dubbio, come ci si trovi dinanzi a comportamenti che rivestono, a
pieno titolo, i caratteri del trattamento inumano e degradante e che,
quantunque commessi da un numero limitato di autori, che hanno tradito
il giuramento di fedeltà alle leggi della Repubblica Italiana e,
segnatamente, a quella che ne costituisce
“(…)
In realtà, purtroppo, il limite del presente processo è rappresentato
dal fatto che, quantunque ciò sia avvenuto non per incompletezza
nell’indagine, che è stata, invece, lunga, laboriosa e attenta da parte
dell’ufficio del P.M., ma per difficoltà oggettive ( non ultima delle
quali, come ha evidenziato