Le mobilitazioni che ci hanno visto protagonisti nell'autunno 2010 non si sono limitate a contestare la legge Gelmini. Le assemblee, i cortei, le manifestazioni, gli scioperi, le occupazioni delle università, delle stazioni, degli aeroporti, delle autostrade e dei simboli della cultura hanno denunciato l'eterna condizione di precarietà delle nuove generazioni, e non solo, e la volontà di iniziare a decidere sul proprio presente e sul proprio futuro, al di fuori di quelle cosiddette rappresentanze “democratiche” così lontane dai problemi reali di questo Paese.
Il precario oggi è uno dei dispositivi di controllo e sfruttamento per salvare un mercato imploso su se stesso e di fatto incapace di trovare una via d'uscita dalla crisi.
Sono precari gli studenti, che pagano affitti esorbitanti con lavori part-time e in nero, a cui viene persino negato uno dei diritti fondamentali, il diritto allo studio. Sono precari i migranti, che non hanno più nemmeno la speranza di potersi costruire un'esistenza migliore. Sono precari gli operai, che sono costretti a dover rinunciare a quei diritti che negli anni avevano faticosamente conquistato per poter rimettere in moto una macchina che è ormai al collasso.
Siamo tutte e tutti precari/e, di fronte ad un sistema che, per garantirsi la sopravvivenza, ha saccheggiato e depredato ogni aspetto della vita e dell'ambiente che ci circonda, e che ora non è più in grado di autoreplicarsi.
Nelle manifestazioni dello scorso autunno, specialmente quelle del 14 e del 22 Dicembre, abbiamo visto una generazione che non si riconosce più in una governance, che ha la pretesa di voler rappresentare una società sempre più distante dal sistema partitico e di potere. In tutto il mondo vediamo, in primis dalle rivolte euromediterranee, che a partire dai giovani, non è più possibile continuare a subire, ma è necessario organizzarsi per abbattere chi la crisi l'ha creata e orchestrata, riprendendosi tutto.
Immaginare un’altra università significa fare i conti con un sistema che trasforma il sapere in uno strumento utile solamente alla produzione. Significa fare i conti con delle politiche, sociali ed economiche, che si fondano sul parassitismo assoluto delle nostre intelligenze, dei nostri diritti, della nostra libertà. Non è più possibile opporsi solamente al presente, è arrivato il momento di costruircelo, di immaginarsi un'alternativa dal basso che affronti le complessità e si riprenda ciò che ci sta venendo tolto, pezzo per pezzo.
In questo contesto nasce Puzzle: l'ambizione di costruire, all'interno delle lotte globali contro il sistema, un'alternativa locale, uno spazio di servizi autogestiti, all’interno del quale cominciare a sperimentare in concreto un nuovo tipo di società. Oggi, studenti dell'università e precari della metropoli insieme iniziano la costruzione di una cospirazione comune, di una maglia intrecciata che solamente nella sua ricomposizione è in grado di far presagire la fotografia complessiva. Un tentativo di dare risposta a quell'emergenza abitativa fantasma che colpisce migliaia di giovani, fuorisede e non, condannati ad abitare con mamma e papà sino a 40 anni, piuttosto che ad essere soggiogati ad affitti da strozzinaggio o a case dello studente-carceri che, tra l'altro, vengono chiuse.
Per questo nasce oggi dentro Puzzle uno studentato. L'inizio di una vertenza e della segnalazione, dal basso, di un'emergenza che in questa città viene tenuta nascosta e che soltanto a partire dai nostri corpi e bisogni possiamo affrontare e risolvere, insieme.
Ogni realtà, ogni progetto che vive dentro questo spazio occupato è un frammento, un tassello determinante nella sua unicità – non sommatoria di debolezze, o somma sterile di progetti diversi tra loro, ma espressione costituente del tumulto e delle rivolte esplose questo autunno: la voglia di non dover più pagare la crisi al prezzo dei diritti, ma inizio della creazione di una nuova democrazia possibile, costruzione di autogoverno del territorio, delle vite. E’ questo il comune politico che lega le diverse esperienze. E’ questa l’immagine che Puzzle ci mostra. Il progetto di un arrembaggio alla Metropoli dei poteri forti con la sottrazione di un pezzo di città alla speculazione e all'abbandono a cui Alemanno ci ha abituato e che oggi vorrebbe consacrare sull'altare dei finti Stati Generali di Roma.
L'onda d'urto del grido di rabbia di piazza del Popolo oggi si infrange in via Monte Meta, restituendo a noi tutti un pezzo di felicità.
Formazione – Cultura – Casa – Welfare per tutt*!
Assemblea di Medicina in Mobilitazione